“Non ci sono più i ragazzi di una volta”.
La stessa frase, invece, può essere utilizzata correttamente,per dire una grande verità, ossia che è impossibile che una generazione sia uguale ad un’altra e, in termini più radicali, che una persona sia identica ad un’altra. Nella sua semplice evidenza questo fenomeno si manifesta ogni anno di fronte agli insegnanti, che si ritrovano sempre a ricominciare da zero per comprendere nuovamente i ragazzi che hanno davanti, le loro storie, i loro comportamenti, le loro paure, i loro desideri e i loro limiti.
“Non ci sono più i ragazzi di una volta”.
La solita frase può diventare una sfida costruttiva per i nostri sguardi e i nostri pensieri, se essa è il frutto di un’analisi attenta dei cambiamenti in atto, che secondo diversi analisti e ricercatori sono di un’ampiezza straordinaria.
Tra le diverse riflessioni che possono aiutarci vi sono quelle, per esempio, dello studioso francese M. Serres, che in diverse sue opere, con poche pennellate e uno stile a volte criptico ci sprona a fare i conti seriamente con le trasformazioni, senza rimpianto del passato, ma anche senza ingenuità. Nel suo testo, del 2012,
Petit Poucett, tradotto alcuni mesi fa in italiano da Boringhieri con il titolo
Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere [google] descrive la portata di quella che, a suo parere, è una vera e propria metamorfosi.
I ragazzi delle nostre scuole, i nostri figli, sono diversi nelle abitudini di vita, nel rapporto con il corpo e con la fatica. Concepiti non alla cieca e con davanti a loro una durata di vita più lunga, vivono in un mondo multiculturale e non abitano più lo stesso spazio umano, che continua ad espandersi grazie alle possibilità di connessioni. Non parlano più la stessa lingua, in continua trasformazione e arricchimento; vivono nell’indebolimento delle appartenenze più tradizionali, attori e testimoni del sorgere di forme nuove di legami.
“
Sono formattati dai media, diffusi da adulti che hanno meticolosamente distrutto la lorofacoltà di attenzione riducendo la durata delle immagini a sette secondi e il tempo di risposta alle do-mande a quindici. [...] Sono formattati dalla pubblicità“ (tr. it, p. 13). “
Le scienze cognitive mostranoche l’uso della Rete, la lettura e o la scrittura dei messaggi con il pollice, la consultazione di Wikipedia o di Facebook non eccitano gli stessi neuroni né le stesse zone dalle lavagne o dai quaderni. I ragazzi riescono a gestire molte informazioni nello stesso tempo. Non conoscono, né integrano, né sintetizzano come noi, che siamo i loro genitori e i loro nonni. Non hanno più la stessa testa” (ibi, p. 14).
Secondo Serres siamo dunque in presenza di cambiamenti così significativi da poter essere definiti “ominescenti”, ossia generatori di una cesura nella cultura umana “
paragonabile a quelle visibili nelneolitico, all’inizio dell’era cristiana, alla fine del Medioevo e nel Rinascimento” (ibi, p. 18). Anche l’insegnamento è destinato a mutare profondamente. Le informazioni, già classificate e sistematizzate, sono sempre di più a portata di mano e di un
click, esse sono compresse “
in piccoli aggeggi che i ragazzi portano in tasca, sotto il fazzoletto” (ibi, p. 33).
Il punto di potere (il
power point!) attraverso il quale accedere al sapere non è più rappresentato dalla cattedra e dal suo titolare; per questo, dice Serres, le nostre aule sono destinate a trasformarsi in qualcosa di diverso e l’insegnante a perdere progressivamente la funzione di portavoce di un’offerta. “
Accessibile tramite il Web, Wikipedia, il palmare, con qualsiasi mezzo portatile. Spiegato, documentato, illustrato con una quota di errori analoga a quella delle migliori enciclopedia. Non si ha piùbisogno del portavoce di una volta, salvo che qualcuno abbia un guizzo inventivo, originale, ma èraro. Fine dell’era del sapere” (ibi, p. 32).
Ma non la fine, mi permetto di aggiungere, della sapienza e della comprensione; per questo c’è bisogno, come sempre e forse più di prima, di insegnanti capaci di accendere il cuore e la mente.
Pierpaolo Triani
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Da SD 4, dicembre 2013, p. 1.